Filosofa, astronoma e matematica pagana da torturare ed eliminare, le vicende di Ipazia di Alessandria ci ricordano un dato significativo: le discriminazioni nei confronti delle donne è storia vecchia quanto il mondo.
Era appena il 415 d.C., l’8 marzo, quando Ipazia fu uccisa da un tumulto di cristiani inferociti. La sua colpa? La dedizione di una donna, per di più non di fede cristiana, alla scienza e alla conoscenza non era in alcun modo ammissibile.
E allora (anche) Ipazia, che secoli dopo il teosofo Augusto Agabiti descriverà come una “martire della libertà di pensiero”, ci deve ricordare tutte le donne coraggiose, forti, ribelli e geniali che nel corso delle diverse ere hanno contribuito, o almeno tentato, a cambiare la mentalità del proprio tempo.
Dai tempi di Ipazia sono trascorsi millenni, eppure ogni giorno, ancora oggi, le donne continuano a subire ingiustizie e discriminazioni, a partire dall’istruzione e dall’accesso al mondo del lavoro per finire alle disparità economiche e ai cosiddetti femminicidi.
Chi era Ipazia di Alessandria
“Se mi faccio comprare, non sono più libera, e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera” (Ipazia, in Ipazia Vita e sogni di una scienziata del IV secolo)
Eccola Ipazia in quelle sue precise parole, erudita e convinta sostenitrice della libertà di pensiero. Educata ai principi della scuola platonica, Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto tra il 355 e il 368, figlia di Teone, geometra, filosofo e insegnante dedito soprattutto alla matematica e all’astronomia, esponente dell’antico lignaggio culturale del Museo tolemaico.
Ipazia succedette al padre nell’insegnamento e non le fu difficile farsi apprezzare da ogni ceto sociale, ma fu proprio in quel tempo, ultimo decennio del IV secolo, che ad Alessandria cominciarono a essere demoliti i templi pagani per ordine del vescovo Teofilo, in base ai Decreti teodosiani che volevano perseguitare e distruggere i restanti culti pagani per dare spazio al Cristianesimo.
Fu anche per questo che, in occasione della Quaresima del 415, una folla armata di monaci parabolani, un ordine dedito alla cura dei malati e alla sepoltura dei morti, la massacrò fino ad ucciderla. Ne fecero a pezzi il cadavere e bruciarono tutto, su istigazione del vescovo e patriarca alessandrino Cirillo: la morte di Ipazia, potente cardine della cultura e del pensiero libero, avrebbe posto fine al consenso di cui godeva tra la gente. Consenso che né il vescovo né la Chiesa potevano tollerare.
“Ella giunse ad un tale grado di cultura, che superò di gran lunga tutti i filosofi suoi contemporanei. […]. Per la magnifica libertà di parola ed azione, che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini. Infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale. Per questo motivo, allora, l’invidia si armò contro di lei. Alcuni, dall’animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario: qui, strappatale la veste, la uccisero colpendola con i cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati questi pezzi al cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco”, nella descrizione di Socrate Scolastico.
Il caso venne archiviato e le autorità imperiali (guarda caso…) corrotte per tacere.
Ipazia ebbe una sorta di giustizia solo durante l’Illuminismo, tra il Seicento e il Settecento, quando, grazie alla ventata della critica, della ragione e dell’apporto della scienza, lei divenne una pioniera della libertà di pensiero e fu riconosciuta come vittima del fanatismo religioso e martire laica del pensiero scientifico.
Ad oggi, la storia di Ipazia è stata più volte ripresa da romanzi, saggi storici, poesie, opere teatrali, dipinti e persino film, “Agora“, interpretata da Rachel Weisz.
Sappiamo che Ipazia non è stata la prima e neppure sarà l’ultima vittima di un potere tutto al maschile, convinto sostenitore di una “libertà di sopruso” che di fatto non ha alcuna ragione di esistere e che rende l’uomo artefice di veri e propri abomini. Da sempre.
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