Rifiuti radioattivi: la pesante eredità del nucleare italiano fa paura, tra traffici illeciti e smaltimento illegale

L’Italia ha abbandonato il nucleare da tempo ma ancora per decenni dovrà fare i conti con una pesante eredità, quella costituita dai rifiuti radioattivi. La loro presenza è fin troppo scomoda ed è anche al centro di traffici illeciti e di smaltimento illegale.

A lanciare l’allarme è il nuovo report di Legambiente “Rifiuti radioattivi ieri, oggi e domani: un problema collettivo”, che ha cercato di fare il punto sull’eredità nucleare italiana, sul problema del traffico e smaltimento illegale e sulla situazione europea. Il documento è stato lanciato in vista del decimo anniversario dall’incidente di Fukushima.

Abbiamo detto addio all’atomo ormai da decenni ma purtroppo il nucleare ci ha lasciato dei problemi da affrontare, primo tra tutti quello della gestione dei rifiuti. Secondo quanto emerso dal nuovo dossier di Legambiente, nel nostro Paese essi si trovano in depositi non idonei, pericolosi e spesso a rischio di esondazione. Ma non solo: vengono anche smaltiti illegalmente.

I preoccupanti numeri del nucleare italiano

Ebbene sì, smaltirli costa molto e ciò negli anni ha innescato un enorme problema, quello del traffico illecito. Un settore su cui la criminalità organizzata ha già da tempo puntato gli occhi. Secondo Legambiente, in Italia dal 2015 al 2019, il lavoro svolto dai Carabinieri ha portato alla denuncia di 29 persone, con 5 ordinanze di custodia cautelare, 38 sanzioni penali comminate e 15 sequestri effettuati a seguito dei 130 controlli effettuati.

Anche il Ministero della Giustizia, attraverso i dati del Rapporto Ecomafia 2020, ha confermato l’esistenza di un’illegalità “sommersa”: dal 2015 (anno di entrata in vigore dei delitti contro l’ambiente tra cui quello di traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività) al 2019 i procedimenti penali avviati sono stati 25, di cui ben 14 contro ignoti con 10 persone denunciate e un arresto.

“In Italia non c’è solo il problema dei depositi di rifiuti radioattivi realizzati in luoghi inidonei o addirittura pericolosi, ma anche il rischio dei loro traffici illegali. Un problema che la nostra associazione denuncia ormai da anni, da quando nel 1995 pubblicammo il nostro primo dossier sull’eredità nucleare portando in primo piano le vicende giudiziarie connesse all’affondamento di navi contenenti rifiuti radioattivi nel Mediterraneo al largo delle coste italiane e in acque internazionali” ha detto Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Tracciabilità e lotta ai traffici illegali, che vedono anche il coinvolgimento di organizzazioni criminali, devono essere al centro delle nuove politiche di gestione dei rifiuti radioattivi a media e bassa radioattività di origine sanitaria, industriale e da attività di ricerca da smaltire nel futuro deposito nazionale”.

I numeri non fanno che confermare un fatto inequivocabile: l‘Italia non è sicura sotto questo punto di vista. Nel report Legambiente ricorda che il nostro Paese, secondo gli ultimi dati disponibili (riferiti a dicembre 2019), ospita 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni, come mostra la tabella che segue:

tabella inventario rifiuti radioattivi italia

©Elaborazione Legambiente su dati ISIN, 2020

Ma non è finita. Si tratta di cifre parziali, a cui nei prossimi anni andranno aggiunte quelle dei rifiuti radioattivi ad alta attività che torneranno nella Penisola dopo il ritrattamento all’estero del combustibile esausto proveniente dagli ex impianti nucleari italiani, e quelli di media attività che si verranno a generare dalle attività di smantellamento degli impianti dismessi.

“Siti come l’ex centrale nucleare di Borgo Sabotino, a Latina, posta a meno di un chilometro dall’attuale linea di costa, o come le ex centrali di Garigliano e di Caorso, rispettivamente in provincia di Caserta e di Piacenza, entrambe poste in aree ad elevato rischio idrogeologico in quanto costruite a ridosso di due importanti fiumi come il Garigliano ed il Po. Analogo discorso vale per Saluggia, nel vercellese, dove in un punto a ridosso della Dora Baltea e a soli tre chilometri dalla confluenza con il Po, sono collocati ben tre impianti diversi (Eurex, LivaNova ed il deposito Avogadro), che hanno spesso corso il rischio di essere alluvionati e dove sono stoccati i rifiuti con la carica radioattiva più elevata (circa il 70% del totale presente in Italia). Non va meglio nel deposito di Rotondella (Mt) in Basilicata o di Statte (Ta) in Puglia, dove nel primo caso è stata accertata una grave ed illecita attività di scarico a mare dell’acqua contaminata, che non veniva in alcun modo trattata, e nell’altro i rifiuti attualmente gestiti si trovano in una situazione “seriamente preoccupante” a causa del “diffuso deterioramento della struttura”” si legge nel dossier.

Il nuovo deposito dei rifiuti a media e bassa attività

Come se non bastasse, l’Italia deve affrontare anche un altro problema. La realizzazione del deposito unico nazionale per i rifiuti a media e bassa attività. A gennaio è stata annunciata la lista dei luoghi candidati ma sindaci e amministratori non desiderano affatto ospitarlo all’interno dei propri territori. Legambiente sostiene però che

“occorre trovare una localizzazione trasparente e partecipata per il deposito dei rifiuti a media e bassa attività, chiudere l’accordo per smaltire in un paese europeo quelli più radioattivi e far entrare a regime il sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti radioattivi previsto dal decreto legislativo 101/2020 che introduce anche sanzioni amministrative e penali in caso di violazioni”.

I rifiuti radioattivi in Europa

Anche la situazione europea non è rosea. Secondo i dati della Commissione ue sono 126 le centrali nucleari attive distribuite in 14 Paesi (Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito) che detengono, insieme ai due Stati che hanno intrapreso la strada del decommissioning (Italia e Lituania), circa il 99,7% del volume totale dei rifiuti radioattivi stoccati nel continente.

Gli ultimi numeri a disposizione, relativi al 2016, parlano di 3,46 milioni di metri cubi di rifiuti radioattivi costituiti prevalentemente da rifiuti a molto basso e basso livello di radioattività (il 90% circa). Per il trattamento e lo stoccaggio sono in funzione 30 impianti distribuiti in 12 Stati Membri. Entro il 2030 è previsto inoltre un raddoppio dei rifiuti a molto bassa attività, mentre per le altre classi l’incremento sarà tra il 20% e il 50%. Ecco perché diversi Stati si stanno preparando ad aumentare il numero di depositi.

tabella nucleare

©Legambiente

Per quanto riguarda il combustibile esausto, in UE sono stoccate più di 60.000 tonnellate di questo rifiuto radioattivo, per la maggior parte in Francia (25%), Germania (15%) e Regno Unito (14%). La grande maggioranza di questi rifiuti (81%) si trova a in piscine di raffreddamento, un metodo di stoccaggio “provvisorio” meno sicuro rispetto ad altri tipi di impianti più idonei, come quelli a secco. Mentre in Francia e Olanda si sta pianificando di riprocessare gran parte di questo combustibile, altri paesi tra cui Belgio, Bulgaria, Germania, Ungheria, Svezia, Svizzera e Regno Unito, hanno dovuto sospendere il processo di rigenerazione.

“Se da una parte l’eredità del nucleare per i Paesi che ancora ne fanno uso comporterà inevitabilmente l’aumento di rifiuti radioattivi nei prossimi secoli, dall’altra parte non è da sottovalutare l’apporto di quei settori, come quello della ricerca, medico, industriale, che continueranno a produrre rifiuti da gestire in tutti i Paesi, compresa l’Italia. Nella nostra Penisola – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – al di là dei 24 siti temporanei che gestiscono attualmente i rifiuti radioattivi, esistono anche 95 strutture autorizzate all’impiego di radioisotopi e macchine radiogene ben distribuite nelle varie regioni italiane a cui si aggiungono tutte le strutture ospedaliere o di laboratorio che fanno uso di tali macchinari. A livello comunitario occorre da subito trovare accordi internazionali per gestire e stoccare i nostri piccoli quantitativi di rifiuti ad alta attività, quelli più pericolosi. A livello nazionale invece il tema della gestione dei rifiuti nucleari a media e bassa attività deve essere accompagnato, da parte delle istituzioni, da una comunicazione e informazione chiara e trasparente nei confronti dei cittadini. Servono tempistiche certe, scelte, progetti e programmi per il Deposito nazionale che non siano calati dall’alto ma inseriti in processi partecipati e di dibattito pubblico. Infine – conclude Minutolo – bisogna risolvere le lacune presenti nel Programma nazionale, arrivato in forte ritardo e con tanto di procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell’Italia”.

Il video commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente:

Un problema che va affrontato urgentemente.

Per leggere il dossier, clicca qui

Fonti di riferimento: Legambiente

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da greenme