Polpette di gamberi… ma con carne di maiale (e non una traccia di gambero). Tutte le frodi dei prodotti ittici

Sappiamo davvero che pesce portiamo in tavola o quale specie mangiamo al ristorante? Sembrerebbe proprio di no, almeno secondo quanto ha scoperto un’indagine del quotidiano The Guardian.

Scopriamo, per esempio, che le polpette di gamberi contenevano in realtà carne di maiale e non una traccia di gambero. L’indagine si è basata su 44 studi di analisi sulle frodi dei prodotti ittici. Questi hanno analizzato complessivamente oltre 9.000 campioni di pesce provenienti da ristoranti, pescherie e supermercati in oltre 30 paesi.

Vi sveliamo subito il risultato generale scioccante: quasi il 40% dei 9.000 prodotti analizzati era etichettato in modo errato.

Molti degli studi hanno utilizzato tecniche di analisi del DNA relativamente nuove per valutare la tipologia di pesce venduto confrontandola con quanto riportato in etichetta. Si è visto così che, a volte, i pesci erano etichettati come specie diverse della stessa famiglia.

In Germania, ad esempio, il 48% dei campioni testati che dovevano essere capesante reali sono risultate in realtà capesante giapponesi, decisamente meno ambite.

In Italia invece, dei 130 filetti di squalo (che si “nasconde” sotto il nome di verdesca, smeriglio, spinarolo, palombo, gattuccio) acquistati dai mercati ittici e pescivendoli, i ricercatori hanno riscontrato un tasso di etichettatura errata del 45%, con specie di squalo più economiche e impopolari che sostituiscono quelle più apprezzate dai consumatori italiani.

Cosa gravissima evidenziata dall’indagine è che, in alcuni casi, i pesci erano specie in via di estinzione o vulnerabili. In uno studio del 2018, quasi il 70% dei campioni provenienti da tutto il Regno Unito venduti come dentici facevano parte in realtà di ben 38 specie diverse, tra cui molte che vivono nella barriera corallina e che sono minacciate dalla scomparsa del loro habitat e dalla pesca eccessiva.

Altra cosa sconvolgente che è emersa riguarda altri campioni che addirittura non erano interamente composti da specie acquatiche, come le polpette di gamberi vendute a Singapore che in molti casi contenevano carne di maiale e non una traccia di gambero.

Il problema sembra essere diffuso molto anche nei ristoranti. Uno studio, che ha esaminato l’etichettatura errata nei ristoranti europei, ha coinvolto oltre 100 scienziati che hanno raccolto in segreto campioni in 180 ristoranti di 23 paesi. I campioni sono stati poi analizzati in laboratorio, verificando il DNA dei pesci e confrontandolo con i nomi delle specie riportati sui menù dei ristoranti (anch’essi segnalati dagli scienziati che hanno partecipato allo studio). È emerso così che un ristorante su tre vendeva prodotti ittici con etichette errate.

I più alti tassi di etichettatura errata nei ristoranti (dal 40% al 50%) riguardavano locali in Spagna, Islanda, Finlandia e Germania. Ai primi posti dei pesci più frequentemente etichettati male vi erano la cernia nera e il Ruvetto ma anche sogliola, tonno rosso e tonno pinna gialla.

Complessivamente, si è visto che il 36% del pesce preso a campione dagli studi era etichettato in modo errato, il che conferma che le frodi sui prodotti ittici sono un problema su vasta scala globale.

Come scrive The Guardian:

“La frode del pesce è da tempo un problema noto in tutto il mondo. Poiché il pesce è tra i prodotti alimentari più scambiati a livello internazionale, spesso attraverso catene di approvvigionamento complesse e opache, è altamente vulnerabile a etichettatura errata. Gran parte del pescato globale viene trasportato da pescherecci a enormi navi di trasbordo per la lavorazione, dove l’etichettatura errata è relativamente facile e redditizia da eseguire”

Tuttavia, gli studi in questione a volte si sono concentrati in particolare su specie note per essere problematiche, il che significa che non è corretto concludere che il 36% di tutti i prodotti ittici globali è necessariamente etichettato in modo errato.

Le ricerche hanno poi utilizzano anche metodologie e campioni differenti e, sottolinea, The Guardian, i pesci non sempre sono etichettati deliberatamente in modo errato, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi i pesci a basso prezzo sostituivano quelli a prezzo più alto, il che fa intuire alla base una frode piuttosto che una semplice disattenzione.

Come individuare le frodi sui prodotti ittici

Sostanzialmente il consumatore non ha molti strumenti per poter individuare da solo eventuali frodi sui prodotti ittici. Come si è visto dall’indagine, infatti, servono degli appositi test di laboratorio per svelare i retroscena che riguardano il pesce che acquistiamo.

Un consiglio che segnalano gli esperti contattati da The Guardian è quello di acquistare pesce intero, che è molto più facile da identificare “rispetto a un filetto in una confezione di plastica”.

C’è poi un suggerimento sempre valido anche nel caso di altri prodotti (ad esempio il miele): diffidare di pesce di fascia alta a prezzi bassi.

Fonte: The Guardian

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da greenme