Cibo e crisi climatica: dai sistemi alimentari proviene un terzo delle emissioni di gas serra

Dalla produzione al consumo, il cibo che mangiamo contribuisce tantissimo alla crisi climatica. Uno studio della FAO ha di fatto scoperto che più di un terzo di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo sono generate dai sistemi alimentari, principalmente a causa della deforestazione, dell’uso di fertilizzanti, della distribuzione e dei rifiuti. Un quadro senza precedenti dell’impatto sul clima del cibo.

Non è solo il prodotto finale che arriva sulle nostre tavole. Il cibo deve essere coltivato, raccolto (o catturato), trasportato, lavorato, confezionato, distribuito e cotto e i residui devono essere smaltiti. Ciascuno di questi passaggi provoca emissioni di gas serra e strumenti, come i fertilizzanti, che devono essere prodotti e resi disponibili al momento e nel luogo giusti, causando emissioni extra.

Diversi rapporti in passato già avevano hanno quantificato l’impronta climatica del cibo, ma gli autori di questa nuova ricerca pubblicata su Nature Food e guidata dal European Commission’s Joint Research Centre (Centro comune di ricerca della Commissione europea) sostengono che il loro è il primo a coprire tutti i paesi e settori, fornendo un quadro completo delle emissioni dei piatti di tutto il mondo. Tutti i dati sono stati inseriti in un database chiamato EDGAR-FOOD, il primo inventario globale delle emissioni alimentari mai prodotto.

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I cittadini europei si aspettano cibo sostenibile con basse emissioni di gas serra – ha detto Adrian Leip, uno dei principali autori, a Forbes. La nostra speranza è che EDGAR-FOOD sarà utile per identificare dove l’azione per ridurre le emissioni di gas serra del sistema alimentare è più efficace“.

La quota di emissioni di gas serra legate all’uso di energia e alla lavorazione industriale è in aumento. Il sistema alimentare dovrà quindi investire in tecnologie di efficienza energetica e decarbonizzazione per ridurre le emissioni di gas serra, oltre alle tecnologie di mitigazione terrestre, all’interno e all’esterno della fattoria“.

Lo studio

I risultati coprono le emissioni di gas serra per gli anni 1990-2015 e mostrano come il 71% delle emissioni del sistema alimentare provenga dall’uso della terra per l’agricoltura, mentre il 32% proviene da “cambiamenti nell’uso del suolo“, tra cui la deforestazione e il degrado del suolo, attività che hanno rilasciato 5,7 gigatonnellate di emissioni di CO2e a livello globale solo nel 2015.

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©Nature Food

Il database offre un livello di dettaglio senza precedenti sulle emissioni della produzione alimentare, dimostrando, ad esempio, che in termini di distribuzione del cibo, l’imballaggio è il principale responsabile delle emissioni, rappresentando il 5,4% delle emissioni del sistema alimentare. La ricerca mostra che la sola produzione di carta e cellulosa per imballaggi alimentari genera una media di 59,9 milioni di tonnellate di emissioni di CO2e all’anno.

È stato anche rivelato il volume crescente di emissioni generate dall’aumento dell’uso di energia nella produzione alimentare, in particolare nei paesi in via di sviluppo, dove l’uso della meccanizzazione e dei pesticidi è cresciuto rapidamente per eguagliare e talvolta superare le economie avanzate.

Anche la vendita al dettaglio di prodotti alimentari è una parte sempre più importante del quadro: le emissioni del settore sono triplicate tra il 1990 e il 2015, in gran parte grazie alla crescente domanda di refrigerazione per evitare che gli alimenti si deteriorino.

Un precedente lavoro sulle emissioni alimentari, come quello pubblicato nel Rapporto speciale IPCC sui cambiamenti climatici e il territorio nel 2019, stimava che il cibo generava tra il 21% e il 37% delle emissioni prodotte dall’uomo. Il database EDGAR-FOOD fornisce un intervallo più elevato, del 25-42%.

I ricercatori sperano che questa analisi possa aiutare i responsabili politici e le istituzioni a indirizzare con maggiore precisione segmenti specifici dell’industria alimentare nello sforzo globale per ridurre il carbonio.

Fonti: FAO/ Nature Food / Forbes

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da greenme